Scrivere su di sé è terapeutico

Il racconto autobiografico ha delle valenze di auto-terapia: le ricadute benefiche riguardano sia la salute fisica che quella mentale

Sono spesso gli adolescenti che amano tenere un diario personale, scrivere pensieri sulle loro esperienze positive, sulle loro delusioni e sui loro sogni, ma sono molti anche gli adulti che si annotano gli avvenimenti, talvolta come ausilio alla loro memoria, altre volte come bisogno di raccontarsi gli eventi, in certi casi come dialogo con un “amico” immaginario che ascolta.

L’attività di cui stiamo parlando è molto semplice: scrivere le vicende della nostra vita, in particolare gli eventi negativi che l’hanno segnata, tradurre le nostre esperienze in parole e inserirle in un racconto coerente ha numerosi effetti benefici sulla salute.
Numerose ricerche hanno infatti dimostrato che questa pratica porta una maggiore protezione dalla depressione, dai rischi di somatizzazione e dai cedimenti del sistema immunitario e si osservano notevoli miglioramenti in pazienti affetti da asma cronica e artrite reumatoide. Inoltre scrivere fa bene a tanti tipi di soggetti: detenuti in carceri di massima sicurezza, vittime di reati, disoccupati, donne in attesa di un figlio e persone sofferenti di dolori cronici.

Ma perché scrivere farebbe bene?
Ci sono tre ipotesi principali:

  • la prima sostiene che scrivendo ci si rende meglio conto del proprio stato di salute e quindi si tenderebbe a modificare il proprio comportamento e i propri stili di vita. Ma i riscontri sono limitati;
  • la seconda ipotesi afferma che la scrittura permetterebbe una più aperta espressione di sé con conseguente beneficio simile all’applicazione di tecniche non verbali come la danza, il movimento corporeo, la musica, ecc. Secondo gli studi fatti in questa direzione sembra però che questo tipo di espressione non abbia benefici se non è accompagnato da una elaborazione cognitiva;
  • la terza ipotesi, la più accreditata, sottolinea il valore centrale della riorganizzazione dei pensieri e delle emozioni che deriva dal tradurre fatti in parole.

Proviamo a spiegare meglio che cosa significa. In sostanza per rielaborazione cognitiva ed emotiva si intende il fatto che scrivere ci impegna a narrare gli eventi e ad inserirli in storie significative, nelle quali i pensieri e le emozioni non rimangono ad un livello di immediatezza ma vengono rivisti e ripensati.
In pratica, dovendo scrivere un testo narrativo non possiamo lasciare gli eventi nella nostra mente in modo disorganizzato, ma siamo “obbligati” a fare chiarezza e a trasformarli in un modo coerente all’interno di una struttura linguistica con una sua precisa dimensione spazio-temporale. Inoltre dobbiamo confrontarci con le emozioni connesse all’evento e a controllarne l’impatto. Maggiore è la coerenza che riusciamo a dare al racconto, maggiore risulta essere la comprensione della propria vicenda e di conseguenza la possibilità di dotarla di un senso.

Questo lavoro di rielaborazione cognitiva ed emotiva è per certi aspetti molto simile a ciò che accade in psicoterapia, la cui efficacia dipende spesso proprio dalla qualità delle narrazioni e delle elaborazioni emotive che ne conseguono.